Ognuno di noi è già potenzialmente mindful: è questo uno dei punti focali della teoria sulla mindfulness. (Brown et al., 2007) Infatti, la mindfulness si basa su abilità attentive e di consapevolezza, ovvero su quegli aspetti delle nostre funzioni cognitive che mediano il nostro contatto con la realtà. Ciò che cambia con la pratica meditativa è il modo in cui ci relazioniamo all’ambiente (interno ed esterno): solitamente le sensazioni, le emozioni e i pensieri sono filtrati da esperienze precedenti, schemi cognitivi ed emotivi, abitudini. La mindfulness invece insegna a osservare la realtà in modo obiettivo, libero da interpretazioni pregresse. Più nello specifico, Ruth Baer ha individuato 5 aspetti delle abilità di mindfulness: l’osservazione di sensazioni, emozioni e pensieri, la loro descrizione, l’azione consapevole, l’approccio non giudicante all’esperienza e la non-reattività all’esperienza interiore. (Baer, 2010)
Ciò che la mindfulness ci propone non è quindi un’osservazione distaccata, da “spettatori” della nostra mente, ma un’osservazione partecipata e attenta, funzionale all’aumento del benessere psicologico,e in particolare alla regolazione emotiva, alle capacità di coping, alla self-efficacy, alla produzione di risposte flessibili e adattive agli eventi (risposte che tengano conto dei propri bisogni, valori e emozioni), alla qualità delle relazioni, alla riduzione dei sintomi psicopatologici. (Brown et al., 2007; Carlson & Brown, 2005; Brown & Ryan, 2003; Kabat-Zinn et al.,1992; Speca, Carlson, Goddey & Angen, 2000)
Questi effetti sono riconducibili ad alcuni processi, che descrivono quali aspetti dell’organizzazione cognitiva, emotiva e percettiva “cambino” praticando la meditazione mindful. I processi sono riassumibili in 8 punti (Baer, 2010):
- Decentramento del pensiero: è la capacità di non lasciarsi descrivere dai propri pensieri. Per esempio, credere che il pensiero “Io sono stupido” sia un fatto reale determina comportamenti ed emozioni diverse dal riconoscerlo per quello che è (solo un pensiero), e differenziarlo dalla propria persona.
- Flessibilità psicologica: è la disponibilità a sperimentare e consapevolizzare stimoli interni spiacevoli o indesiderati, modulando di conseguenza il proprio comportamento, in base ai propri obiettivi e valori.
- Valori: individuazione di cosa sia importante nella propria vita, e conseguente cambiamento delle proprie azioni e dei propri comportamenti.
- Regolazione emotiva: capacità di accettare le emozioni negative, evitare di rispondere in modo disfunzionale, e promozione delle emozioni positive.
- Compassione di sé: è l’approccio non giudicante, la capacità di integrare nella propria vita ciò che di spiacevole accade, senza evitarlo o lasciarsene sopraffare.
- Spiritualità: una delle possibili definizioni è la ricerca del sacro o di un impegno con esso, nei termini della ricerca di una verità o di una realtà “ultime”.
- Cambiamenti cerebrali: modificazioni nella struttura e nelle funzioni dei circuiti neurali, che ad oggi sembrano essere correlati con l’aumentato benessere psicofisico conseguente alla pratica meditativa.
- Cambiamenti nell’attenzione e nella memoria di lavoro: la capacità di direzionare l’attenzione è il cuore della pratica mindful – un esercizio prolungato di questa funzione (che è a sua volta connessa alla memoria di lavoro) ne determina dei cambiamenti.
Il mio studio si propone di indagare molti di questi aspetti (il decentramento, la flessibilità, i valori, la regolazione delle emozioni) attraverso una valutazione dell’ansia, della rabbia, della capacità di parlare delle proprie emozioni, della percezione dello stress, della mindfulness disposizionale (ovvero la propensione innata alla consapevolezza intenzionale). Ma inoltre, la ricerca si inscrive nell’ambito degli studi che considerano la spiritualità come uno degli agenti del nostro benessere psicologico.
Lo studio empirico della relazione tra mindfulness e spiritualità è relativamente recente nell’ambito delle letteratura internazionale (Baer, 2010). In realtà occuparsi della spiritualità può rivelarsi di fondamentale importanza: 1) in riferimento all’ambito mindfulness in sé e per sé, perchè, ad esempio, molto spesso i partecipanti ai protocolli si considerano religiosi, spirituali, o entrambi, o nessuna delle tue, o ancora hanno tra loro credi differenti, e tutto questo può avere delle implicazioni durante gli interventi, soprattutto se il focus della meditazione è su aspetti connessi proprio alla spiritualità; 2) in riferimento all’ambito clinico in generale, non solo per comprendere meglio gli strumenti a nostra disposizione, ma anche per conoscere più a fondo ciò che determina il benessere psicofisico, e quindi poter agire più consapevolmente sia in un’ottica terapeutica che di prevenzione e promozione.
Ad oggi, gli studi sulla religiosità e la spiritualità rispetto al benessere soggettivo dimostrano che la spiritualità comporta l’individuazione di una cornice di senso per la propria vita, che modifichi la percezione di sé e del proprio ruolo nella società, e che inoltre aiuti a ridurre lo stress, le preoccupazioni e le ruminazioni, aumentando le capacità metacognitive. (Maltby et al, 2008) In altre parole, la spiritualità e la religiosità fungono da processo di coping, cioè aiutano a mediare le situazioni di stress, a sopportare la sofferenza, a dare un senso indiretto di controllo sulle circostanze, a sentirsi parte di una comunità a cui far capo per avere supporto (Koenig, 2009)
All’interno degli studi psicologici sulla spiritualità, una delle prime sfide alle quali molti autori hanno cercato di rispondere è la distinzione tra spiritualità e religiosità: ad oggi, consideriamo la religiosità come l’insieme degli aspetti interpersonali e istituzionali legati alla partecipazione formale ad un gruppo che condivide dottrine, valori, tradizioni; e la spiritualità come esperienza di natura meno socio-istituzionale e più psicologica, legata al senso di comunione con il trascendente, e a conseguenti sentimenti di stupore, gratitudine, compassione e perdono (Greenfield, Vaillant, Marks, 2007). Sembra evidente che sia riconducibile alla “spiritualità” una pluralità di esperienze diverse, che vanno da un senso di pace interiore, di amore, di compassione, alla ricerca del non-sè, alla connessione con un’entità trascendente. Per questo motivo, i principali contributi che abbiamo ad oggi sulla relazione tra questo costrutto e la mindfulness sono relativi all’individuazione di più processi e aspetti sottesi alla spiritualità, che descrivano, appunto, la mediazione tra questa e la mindfulness.
Consideriamo quindi:
- la spiritualità come senso di pace interiore (spesso i pazienti che partecipano al MBSR riportano questa sensazione, benchè nel protocollo non si richieda esplicitamente di focalizzarsi su un’esperienza di tipo spirituale);
- la spiritualità come amore e compassione (è un elemento praticamente universale dell’esperienza spirituale, che si rivela innanzitutto nella capacità di accogliere acriticamente l’altro, oltre che se stessi – è parte integrante della tradizione mindfulness e dell’ACT.);
- la spiritualità come Non-Sè (é l’aspetto fondamentale del buddhismo: la trascendenza di sé.) ;
- la spiritualità come senso del sacro (vale a dire la capacità di distinguere tra ciò che è ordinario e ciò che non lo è, perchè ha un significato più elevato rispetto alle cose comuni).
Molti di questi processi (se non tutti) sono meno lontani dalla preghiera cristiana di quanto ci si possa aspettare: per esempio, uno studio di Whittington e Scher del 2011 (in cui il campione era per il 50% composto da persone di fede cristiana) ha dimostrato che le tipologie di preghiera che hanno più correlazioni con il benessere psicologico sono l’adorazione, il ringraziamento e le forme di apertura alla vicinanza con Dio (reception) (Whittington e Scher, 2010). Secondo gli autori rispetto agli altri tre tipi di preghiere considerati nello studio (confessione, supplica, preghiera obbligatoria legata a tradizioni ortodosse), le preghiere che contribuiscono allo stato di benessere dei fedeli sono accomunate dal focus su Dio, invece che sulla propria persona, sono cioè legate alla spiritualità come Non-Sè. L’idea di “Non-Sè” potrebbe sembrare poco correlato alla tradizione cristiana: in realtà rappresenta l’apertura allo spirito, al trascendente, o a ciò che di trascendente c’è in se stessi. Nell’ottica cristiana, lo spirito col quale entrare in contatto è Dio.
Il terreno comune tra spiritualità, mindfulness e preghiera può rivelarsi di grande importanza nell’intervento con i pazienti, i quali possono sentirsi più a loro agio lavorando all’interno di un contesto che richiami le loro tradizioni. Per questo motivo, la mia ricerca si focalizzerà tanto sulle correlazioni tra mindfulness e indicatori di benessere psicologico, quanto sulle correlazioni tra la preghiera cristiana e gli stessi indicatori di benessere, allo scopo di indagare ulteriormente questo terreno comune, per conoscere le caratteristiche di entrambe le esperienze psicologiche, e valorizzarne punti di contatto e differenze.
Ilaria Buonomo
Tutti coloro che volessero prendere parte alla ricerca, possono compilare il questionario sul benessere psicologico al seguente link. Non ci sono limiti di età o genere ai fini della partecipazione: le uniche caratteristiche richieste sono l’essere meditatori mindfulness, oppure l’essere credenti (cristiani) ma non praticanti, o il far parte di gruppi di preghiera cristiani. Sono a disposizione per qualunque genere di informazione riguardante la ricerca e la partecipazione ad essa all’indirizzo i.buonomo@yahoo.it
BIBLIOGRAFIA
Baer, R. (2006), Come funziona la mindfulness. Teoria, ricerca, strumenti. Trad. it. Raffaello Cortina, Milano, 2010.
Brown, K.W. and Ryan, R.M. (2003). The benefits of being present: The role of mindfulness in psychological well-being. Journal of Personality and Social Psychology, 84, 822-848.
Brown, K. W., Ryan, R. M., & Creswell, J. D. (2007). Mindfulness: Theoretical
foundations and evidence for its salutary effects. Psychological Inquiry, 18, 211-237.
Carlson, L. & Brown, K. (2005). Validation of the Mindful Attention Awareness Scale in a cancer population. Journal of Psychosomatic Research, 58(1),29-33.
Greenfield, E. A., Vaillant, G., Marks, N. F. (2007) Formal religious participation and daily spiritual experiences: separate, but equal, linkages with psychological well-being? Paper proposal for the 2007 meetingof the American Sociological Association).
Kabat-Zinn, J., Massion, A. O., Kristeller, J., Peterson, L., Fletcher, K. E., Pbert, L., et al. (1992). Effectiveness of a meditation-based stress reduction program in the treatment of anxiety disorders. American Journal of Psychiatry, 149(7), 936-943.
Koenig, H. G., (2009). Research on religion, spirituality and mental health: a review. The Canadian Journal of Psychiatry. Vol. 54, No 5.
Maltby, J., Lewis, C. A., Day, L. (2008). Prayer and subjective well-being: The application of a cognitive-behavioural framework. Mental Health, Religion & Culture, 11(1): 119-129.
Speca, M., Carlson, L. E., Goodey, E., & Angen, M. (2000). A randomized, wait-list controlled clinical trial: The effect of a mindfulness meditation-based stress reduction program on mood and symptoms of stress in cancer patients. Psychosomatic Medicine, 62, 613-622.
Whittington, B. L. & Scher, S. J., (2010). Prayer and Subjective Well-being: An examination of six different types of prayer. The International Journal for the Psychology of Religion, 20:59-68.